La disoccupazione giovanile

Disoccupazione e indebitamento alle stelle, potere d’acquisto in caduta libera, giovani che non trovano lavoro, sfiducia totale nella politica. il mese di Marzo 2013 ha visto peggiorare la disoccupazione nell’area euro, che salendo all’11,9 per cento ha stabilito un nuovo massimo storico, secondo Eurostat.I numeri che emergono nel rapporto sul Benessere equo e sostenibile di Istat e Cnel pubblicato di recente fotografano meglio di qualsiasi analisi politica anche l’esito elettorale. In Italia, tra il 2010 e il 2011, l’indicatore della ‘grave deprivazione’ economica sale dal 6,9% all’11,1%. Ciò significa che 6,7 milioni di persone sono in difficoltà, con un aumento di 2,5 milioni in un solo anno.

I dati appena usciti sulla disoccupazione sono agghiaccianti, sia quello sui quasi 3 milioni di disoccupati, ma soprattutto è preoccupante quello del 38,7% di giovani disoccupati. “E’ una situazione drammatica a cui dobbiamo reagire” ha detto, nel corso della firma di un accordo tra Confindustria e Intesa Sanpaolo per sostenere le Pmi italiane, il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi. E’ vero. I dati sulla disoccupazione lasciano sgomenti ma le conseguenze causate dalla mancanza di lavoro sono devastanti. Notizie riguardanti giovani coppie con figli, anziani, invalidi, extracomunitari che sono costretti a lasciare la loro abitazione in seguito ad uno sfratto esecutivo perché impossibilitati a pagare l’affitto o perché la loro casa è stata messa all’asta sono oramai all’ordine del giorno. Persone che dall’oggi al domani si ritrovano letteralmente a vagare per le strade, a dormire in macchina, a mangiare un piatto di pasta quando va bene, a vivere al buio affidandosi alla bontà di qualche amico per assicurarsi la sopravvivenza giornaliera. La drammatica realtà è che la crisi non lascia spazio alla ripresa: il tasso di disoccupazione è salito all’11,7%. Ancora una volta, però, a pagare il prezzo più pesante sono i giovani tra i 15 e i 24 anni: il 38,7% è senza lavoro con punte che al Sud superano il 50%, contro il 29,7% del Nord e il 39,3% al Centro. Oramai ogni giorno decine di piccole-medie imprese sono costrette a chiudere, stremate da una crisi che spesso è legata ad aspetti finanziari più che ad un’effettiva mancanza di commesse, e così il numero dei disoccupati che cercano disperatamente un’altra occupazione sale vertiginosamente.

Le persone in età giovanile, ma anche i trentenni,  si trovano di fronte a tali e tante incertezze e difficoltà da rappresentare oggi una categoria sociale a rischio di povertà.L’inserimento lavorativo ed in particolare il raggiungimento di un impiego “stabile”, il ritardo nel raggiungimento dell’autonomia economica e, di conseguenza, nell’uscita dalla famiglia di origine, il ritardo nella formazione di un proprio nucleo familiare, e spesso la rinuncia a procreare, con una denatalità che ha raggiunto livelli senza precedenti e che, oltre a rappresentare un segnale, sono un segno chiaro e inequivocabile di un forte disagio sociale che sta già avendo, ed avrà ancor più in futuro, forti ripercussioni demografiche e sui rapporti tra generazioni. Non solo i giovani in possesso di una licenza di scuola media inferiore o superiore ma, per la prima volta, anche i laureati specialistici a 5 anni dalla laurea si ritrovano disoccupati, anche se in percentuali minori rispetto ai giovani senza laurea.Su di loro pesa soprattutto il mancato rinnovo dei contratti a termine, causa dell’interruzione di 6 rapporti lavorativi su 10. I senior invece sono spesso vittime di licenziamento per chiusura dell’attività. E del difficile ricollocamento che ne consegue. Tra siti web e curricula lasciati in pizzeria la giornata di un giovane disoccupato italiano è, nell’ordine, impegnativa, frustrante, creativa e richiede risorse psicologiche non da poco. Ormai l’idea di avere un posto di lavoro stabile è talmente estranea alla loro quotidianità che non sembra neanche più un concetto reale, ma solo una speculazione filosofica relativa a un ipotetico mondo immaginario. Le offerte di lavoro che si trovano sui giornali locali o quelli specializzati per  la ricerca di figure professionali sono sempre e solo le stesse, e sfortunatamente quasi mai corrispondono alle tipologie di lavoro che un giovane è in grado di fare. A complicare la situazione intervengono poi le diverse offerte di lavoro per occupazioni che un giovane disoccupato sa benissimo di poter svolgere senza problemi, ma la candidatura viene bloccata dai mille requisiti richiesti, tra cui la classica esperienza pluriennale nel ruolo, spesso abbinata a un limite massimo di età che si è chiaramente superato da tempo. L’evidente contraddizione tra i parametri anagrafici e dell’esperienza professionale fa si che i giovani si sentano sempre più scoraggiati e depressi alle prese con una società che non sembra offrire oramai più alcuno sbocco professionale. Molti alla fine provano con il passaparola tramite amici e conoscenti chiedendo a tutti se conoscono qualcuno che cerca personale e si dichiarano disposti a qualsiasi mansione, qualsiasi orario e qualsiasi retribuzione, contrariamente a quanto i media vorrebbero far intendere. Secondo gli esperti di psicologia del lavoro, cioè di coloro che spesso si occupano di selezione del personale all’interno delle aziende, laurearsi con 110 e lode sarebbe addirittura controproducente poiché il candidato laureatosi con il massimo dei voti potrebbe essere considerato un “saccentone” privo di umiltà! Personalmente, non credo che ci sia ancora chi, posto di fronte alla possibilità di essere inserito in un contesto lavorativo, abbia voglia di autosabotarsi con comportamenti sciocchi. Credo invece che i giovani, sia laureati che non, sappiano bene che qualunque sia il contesto lavorativo, occorre apprendere “sul campo” quelle competenze che la sola conoscenza nozionistica non può dare. Ritengo che la vera opportunità oggi risieda proprio nella capacità individuale di moltiplicare le proprie risorse interiori, intraprendendo innanzitutto un lavoro di autoanalisi per capire quali sono i propri limiti in modo da poterli superare. Ma i limiti si superano con l’esperienza, e per fare esperienza occorre formarsi, laddove necessario riqualificando le proprie competenze. Queste, infatti, aprono tutto un ventaglio di possibilità e i giovani adulti hanno tutti un potenziale di sviluppo della competenza, che non riguarda il saper fare qualcosa ma fa riferimento al comportamento. Le aziende oggi sono interessate alla dimensione comportamentale più che alla conoscenza di modelli teorici o alle procedure;ogni azienda, infatti, tende a formare i propri dipendenti attraverso dei corsi di formazione mirati. La competenza invece si acquisisce attraverso la messa in atto della conoscenza, reiterando quei modelli comportamentali che conducono al successo nel fronteggiare le varie situazioni. Per tale motivo, una delle principali strategie anticrisi consiste nel saper comprendere innanzitutto il proprio potenziale di sviluppo delle competenze, e quindi lavorare sui propri punti di debolezza al fine di superare gli ostacoli che si frappongono tra una vita caratterizzata dalla mancanza di lavoro e di sfiducia nelle proprie capacità ed una vita proiettata alla crescita personale realizzata attraverso una formazione continua e permanente.

BENEDETTO XVI : La Folgore e il Tuono

Quando, con il suo annuncio in latino, Papa Benedetto XVI ha colto di sorpresa i media vaticani comunicando di rinunciare al Soglio papale, anche il flash dell’Ansa  sull’ annuncio delle dimissioni ha fatto in pochi minuti il giro del mondo. Tre minuti e mezzo appena di rito mariano, l’Angelus, poi un minuto di ringraziamento per le preghiere e l’affetto di chi lo ha accompagnato nella Grande Rinuncia, e tre e mezzo per i saluti nelle principali lingue europee, spagnolo, tedesco, italiano, portoghese, inglese, polacco. L’annuncio delle dimissioni del Papa ha colto di sorpresa laici ed ecclesiastici di tutto il mondo che hanno cominciato a farsi domande sulle motivazioni che hanno portato il Santo Padre a tale decisione. Padre Lombardi ha spiegato che nelle sue parole il Papa si è richiamato al codice di diritto canonico, con una “dichiarazione formale del punto di vista giuridico importante. Nel codice, al canone 332 paragrafo 2 si legge: nel caso il cui il romano pontefice rinunci a suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e venga debitamente manifestata, non si richiede che qualcuno la accetti”. Sembra, dunque, che le parole del Papa indichino una scelta fatta in piena libertà. Ancora una volta “Benedetto XVI ha offerto esempio di profonda libertà interiore”. Teologo finissimo, che ha guidato la Congregazione per la Dottrina della fede per oltre vent’anni, rigoroso nel tracciare i confini della religione cattolica in tempi di secolarizzazione, a Joseph Ratzinger la Chiesa chiedeva di marcare i segni e principi dell’identità religiosa. In altri termini, il “distintivo cristiano”, e invece, fiaccato da problemi di salute, dall’età avanzata, Papa Ratzinger ha deciso di andarsene per lasciare ad un nuovo e più giovane Pontefice il difficile ruolo di Pastore della Chiesa. Le dimissioni di un Papa non rientrano nelle ipotesi, bisogna andare indietro di secoli per trovare un caso analogo, quello di Celestino V.  Chiamato al soglio pontificio nel XIII secolo nonostante fosse sempre vissuto in un eremo, Celestino V visse  il breve pontificato con sofferenza, fino al clamorosa rinuncia. Gesto che non ha precedenti, la rinuncia di Benedetto XVI è frutto di un profondo esame di coscienza sulle sue forze in rapporto al ministero da svolgere e in ciò risiede la sua grandezza: una rinuncia “per il bene della Chiesa”. Una scelta storica quella del Papa, una situazione nuova che stravolge la tradizione e il rito della successione papale anche se il gesto di Benedetto XVI poteva in qualche modo essere previsto dalle parole che lui stesso aveva pronunciato nel libro-intervista del 2010 “Luce del mondo”. Di fronte al giornalista tedesco Peter Seewald Ratzinger aveva infatti ammesso che se un Papa si rende conto che non è più in grado “fisicamente, psicologicamente e spiritualmente, di assolvere ai doveri del suo ufficio, allora ha il diritto e, in alcune circostanze, anche l’obbligo, di dimettersi”. In quell’occasione Benedetto XVI parlò con chiarezza dell’ipotesi-dimissioni. E così, nel silenzio di un elicottero lontano, bianco e stagliato contro il sole cadente sopra Castel Gandolfo, si è concluso il Pontificato di Benedetto XVI.  Un piccolo, enorme evento segnato da un breve addio, «Continuerò a lavorare per il bene della Chiesa e per la pace» fino a quando «la mia forza interiore» lo consentirà. Benedetto XVI  resterà, comunque, Papa. Emerito. Una “scelta difficile”, l’ha definita nella sua ultima udienza, ma anche un segno di “umanità” che  avvicina il Papa agli uomini.

“Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questo è il periodo migliore della vita” PAUL NIZAN

“Ho dato la vita e il sangue per il mio paese e mi ritrovo a non tirare a fine mese…” Queste le parole iniziali della canzone che ha vinto il Festival di Sanremo 2012. Non a caso il testo che quest’anno ha riscosso il favore del pubblico è incentrato su una tematica di attualità molto sentita, la crisi economica. Si tratta purtroppo di una crisi devastante che si riflette sulla vita di tutti, in  odo particolare sui giovani. Il testo della canzone, infatti, emblematicamente rispecchia la situazione dei giovani di oggi che, ˂a trent’anni temono il sogno di sposarsi e procreare˃. Queste parole ci riportano alla famosa citazione di Paul Nizan che decisamente mostra il proprio disaccordo con chi sostiene che avere vent’anni sia il periodo migliore della vita. Sembrerebbe un’affermazione drastica di un pessimista, in realtà le parole del filosofo potrebbero essere stata pronunciate da un qualsiasi ventenne di oggi. La società in cui viviamo, infatti, è dominata da un’economia instabile, da un’economia in declino che ha provocato ripercussioni a catena sulla vita dei giovani che non riescono più a credere in un futuro dignitoso. Disoccupazione dilagante, mancanza di punti di riferimento, notizie di padri di famiglia che, oberati dai debiti, si tolgono la vita, difficoltà socio-sanitarie, precariato. Tutte queste situazioni negative non possono non avere effetti sulla percezione che un giovane ha del mondo in cui vive. Nessun ventenne oggi riesce a progettare il proprio futuro senza provare un grado di apprensione molto elevato e, l’ansia per il domani, si insinua nella vita di chi, troppo giovane, non dovrebbe avere una visione così pessimistica della vita. In particolare, le paure dei giovani  ruotano soprattutto attorno a tre aspetti: dover rimandare acquisti o spese importanti, non riuscire a mantenere lo stesso tenore di vita e perdere il proprio posto di lavoro. Uno dei dati più negativi, infatti, viene dall’analisi del mercato del lavoro, dove  il calo occupazionale tra i giovani segue un trend ormai costante. Il disagio giovanile si esprime con il malessere, la rabbia, la delusione, la frustrazione che i giovani d’oggi vivono giorno per giorno. Dalle notizie che emergono dalle pagine dei giornali e dalle varie fonti di informazione si scopre un malessere esistenziale che c’è e che preme : molti giovani chiedono risposte a questa società che resta muta, indifferente e fredda di fronte al loro bisogno di certezze. Il malessere cova per le insoddisfazioni di tutti i giorni, per una società che non offre spazi per lavorare, per vivere decentemente, per esprimersi liberamente e per moltiplicare le proprie risorse interiori. Oppressi da una sociètà che li emargina, molti giovani finiscono per essere deformati da una società deforme nella quale, per sopravvivere, spesso il giovane in origine tranquillo e sensibile si trasforma in un delinquente. La depressione facilmente si insinua nella vita di coloro che non sanno più a chi chiedere aiuto e, per questo motivo, lo cercano nelle sostanze chimiche. La droga, infatti, è uno dei fenomeni più tristi del nostro tempo, indice di una crisi dei valori, di carenze affettive, che nascono anche dalla famiglia stessa, dalla paura dell’avvenire e da un desiderio di felicità che, nella loro visione, non potrà mai essere conquistata.

Eppure, i giovani, cercano di non lasciarsi sopraffare dall’ondata di negatività e impongono la loro presenza sfidando il sistema, protestando, lottando per diventare protagonisti attivi in una realtà che altrimenti rischierebbe di schiacciarli, attraverso il dominio delle tecnologie e dei loro valori e ideali e artificiali, gli unici che da esse possono derivare. I giovani dunque, non rifiutano in blocco il potenziale educativo insito nei mass media tradizionali, come giornali e televisione, ma capiscono  che una possibilità di riscatto può essere ravvisata  nel cominciare a sfruttare seriamente,  soprattutto sul versante propriamente formativo, le opportunità che provengono dal mondo della tecnologia. Una buona società è quella che consente ai suoi giovani di guardare al futuro con fiducia e speranza, in modo da poter vivere una vita sana con giusti rapporti di relazione e di scegliere con intelligenza e con equilibrio i mezzi e i modi che possono appagare i loro bisogni e le loro esigenze. I giovani  sognano così di ripulire il mondo del domani e di creare costantemente nel presente le motivazioni, le spinte, gli stimoli giusti per operare bene nel futuro. E’ pertanto giusto dire che bisogna credere nei giovani perché se non ci si credesse si dovrebbe disperare dell’umanità in quanto in essi è racchiuso l’avvenire.

 

La banalità del male. Hannah Arendt, il nazismo e lo sterminio degli ebrei.

In un intervento alla trasmissione di Radio 1 ”Radio Anch’io” il ministro degli esteri Giulio Terzi  ha ribadito l’importanza fondamentale che nella società odierna assume l’insegnamento delle grani tragedie del passato affinché possa accrescersi nelle giovani menti una maggiore consapevolezza di fronte alle stragi come quella che in questi giorni sta avvenendo in Nigeria. La persecuzione e lo sterminio dei cristiani in questo tormentato Pese, infatti, può essere raffrontata con la terribile tragedia della Shoah. Quando si parla di persecuzioni non si può non pensare ad uno dei fenomeni più inquietanti del XX secolo, la deportazione e lo sterminio di sei milioni di ebrei da parte dei nazisti. La filosofa Hannah Arendt, ebrea di nascita, dopo una relazione tormentata con il filosofo nazista Heiddeger. Costretta a emigrare per le persecuzioni naziste, visse in Francia e poi negli Usa, dove insegno’ in varie universita’ fino alla morte, avvenuta nel 1975. La sua opera piu’ importante fu ‘Le origini del totalitarismo’. Importante anche il testo ‘La banalita’ del male’, scritto alla fine del processo a Eichmann nel 1963. in quest’opera la Arendt solleva la questione del nazismo sottolineando come il male possa non essere radicale : anzi è proprio l’assenza di radici, di memoria del non ritornare sui propri pensieri e sulle proprie azioni mediante un dialogo con se stessi che uomini spesso banali si trasformano in autentici agenti del male. E’ questa stessa banalità a rendere, come è accaduto nella Germania nazista, un popolo acquiescente, quando non complice, con i più terribili misfatti della storia ed a far sentire l’individuo non responsabile dei suoi crimini, senza il benché minimo senso critico. Nella Banalità del male, infatti,  la Arendt sostiene l’idea secondo la quale il male perpetrato dai tedeschi che si resero responsabili della Shoah  non fosse dovuto a un’ indole maligna, ben radicata nell’ anima, quanto piuttosto ad una completa inconsapevolezza di cosa significassero le proprie azioni. Per la filosofa ebrea, naturalizzata americana, il male ha avuto origine nei lager, luoghi nei quali si compiva una forma di annichilimento dell’uomo che era annullato innanzitutto come individuo, non appena gli erano negate una nazione e una giuridicità. Inoltre la riduzione degli esseri umani in semplici numeri stampati sul braccio era completata con l’azzeramento morale, laddove ad esempio veniva chiesto ad una madre quale dei suoi figli preferisse veder morire per primo. E’ esattamente questo che si è verificato ad Auschwitz, dove i nazisti hanno tentato di concretare la loro perversa teoria del male fine a se stesso, senza una logica, un male radicale. Nel corso della storia il popolo ebraico è stato sempre malvisto e spesso fatto oggetto di feroci persecuzioni come nel caso dei tipici massacri periodici o “pogrom” compiuti nella Russia zarista per “punire” gli Ebrei colpevoli della morte di Cristo. In realtà le persecuzioni avvenivano per cancellare i debiti contratti verso gli ebrei che monopolizzavano il commercio minuto e il prestito. Gli atteggiamenti di avversione si trasformano ben presto in discriminazione e crudeli persecuzioni che raggiungono l’apice dell’orrore durante gli anni del predominio nazista in Europa. Dopo la promulgazione delle leggi razziali di Norimberga, infatti, gli Ebrei vengono privati di tutti i loro averi e ridotti ad esseri che di umano conservano solo l’aspetto. Ma il vero e proprio inferno si scatena in Germania quando l’uccisione del diplomatico Ernst von Rath, da parte di un povero diciassettenne ebreo tedesco o polacco in preda all’angoscia per la deportazione dei genitori, provoca un vero e proprio pogrom anti ebraico. Bande di giovani nazisti si scatenano i n tutta la Germania, incendiano le sinagoghe, sfasciano i negozi degli israeliti, prendono a sassate gli ebrei per la strada, costringendoli a strisciare in pubblico. Così, prima di essere deportati nei campi di concentramento, il cui cartello di ingresso cita “ Arbeit macht frei” , il lavoro rende liberi, sono costretti a subire umiliazioni e torture di ogni genere da parte delle SS, le squadriglie paramilitari create da Hitler per instaurare il nuovo “ ordine nazista”.nella alienante ideologia nazista, l’annientamento degli ebrei, avrebbe ridato purezza alla razza ariana che, così, avrebbe potuto dominare il mondo. Di fatto, gli arresti, le deportazioni e l’eliminazione fisica degli ebrei caratterizzano tutto il periodo nazista. Poi, negli ultimi mesi della Seconda Guerra mondiale, quando la disfatta della Germania è ormai prossima, lo sterminio viene accelerato in un’allucinante corsa contro il tempo. Si organizzano i “ campi della morte”, i più grandi situati a Dachau, Bergen-Belsen e Auschwitz, nei quali le autorità detengono un “ libro dei morti” e che, verso la fine della guerra, divengono la sede della “ soluzione finale”, ossia l’uccisione sistematica degli ebrei nelle camere a gas. Quando la verità sui campi di sterminio è venuta a galla l’opinione pubblica è rimasta scioccata e orripilata di fronte a una tale barbarie e a questo punto viene da chiederci come sia possibile che ancora oggi si assista a fenomeni di intolleranza etnica e religiosa, anche in Paesi che si dicono “civili”. Ciò che sta accadendo in Nigeria in questi giorni ci lascia sgomenti in quanto testimonia ancora una volta la predilezione per il male, che neanche la tragedia ella Shoah è riuscito a rimuovere.

Tra i tanti problemi sociali del nostro tempo parla di quello che ha colpito maggiormente la tua sensibilità di adolescente.

Emilia Romagna 10 Giugno 2012. La terra continua a tremare, e la paura non passa. Il terremoto in Emilia Romagna è uno dei problemi che il nostro Paese si trova a dover affrontare in questi giorni e che mi ha particolarmente colpito. Nessuno avrebbe potuto immaginare che una terra “sicura” come la Pianura Padana potesse essere colpita da una tale catastrofe. Ma la macchina dell’assistenza si è messa subito in moto. Dopo il terremoto del 20 maggio scorso, le repliche più forti (ossia di magnitudo superiore a 5) erano concentrate nella zona di Ferrara. I vari terremoti che si sono susseguiti, però, indicano che molto probabilmente sono attive più faglie. Il sismologo dell’Ingv sostiene che è la struttura complessa del tratto settentrionale dell’Appennino, nel quale la catena montuosa prosegue sotto la Pianura Padana, la vera responsabile del sisma. Purtroppo le varie scosse che quotidianamente si ripetono stanno provocando ancora crolli rendendo difficile il lavoro dei volontari e della Protezione Civile, che stanno tentando di verificare l’agibilità degli edifici non crollati. I danni maggiori e il maggior numero di feriti si registrano a Cavezzo, Cento e Mirandola.

A Cavezzo, infatti, è crollato il 75 per cento del paese e tra le vittime ricordiamo il parroco di Rovereto di Novi. Secondo i sismologi il movimento è stato ondulatorio e sussultorio e la magnitudo di 5.8. Ciò ha causato il crollo del tetto del teatro comunale a Cento dove numerose abitazioni private sono segnate da crepe e crolli. A Mirandola,  i soccorritori hanno salvato diverse persone rimaste sepolte da muri e tetti crollati. Il terremoto è stato avvertito in tutto il Nordest, a Verona, Vicenza, Venezia, Bolzano, Padova e Trieste. La terra ha tremato per diversi secondi in maniera prolungata, sussultoria e ondulatoria. I soccorsi non hanno tardato ad arrivare: tra i primi a giungere  nel Ferrarese, i ragazzi della Croce rossa di Forlì-Cesena, che, in poche ore di lavoro, hanno posizionato brande per 250 persone, allestendo lo spazio per lo «sporzionamento» pasti, un’infermeria, un’area per i tanti bambini presenti e tutto l’occorrente per il censimento.

Una scossa di terremoto con epicentro in Emilia Romagna molto violenta è stata registrata il giorno 11 Giugno alle 9.00, di magnitudo 5.8. L’epicentro è stato localizzato ancora a Finale Emilia, in provincia di Modena, a una profondità di circa 10 km. La scossa ha causato otto morti, ma le persone ancora sotto le macerie potrebbero essere molte di più. A Finale Emilia e San Felice sul Panaro stanno vivendo momenti di caos. Anche i soccorritori hanno difficoltà a muoversi e capire quante persone potrebbero essere coinvolte. Identica la situazione a Mirandola e, tra i paesi più colpiti, c’è sempre Cavezzo.

Il sisma è stato avvertito in tutto il nord Italia, da Milano (dove alcuni stabili, soprattutto quelli più vecchi sono stati evacuati) a Ravenna. La gente è fuggita in strada anche a Bologna. Si temono nuovi crolli nelle zone già colpite dal terremoto. Da una prima ricognizione è crollata un’altra parte della Rocca Estense di San Felice.

Il terremoto è stato avvertito precisamente a Verona, Vicenza, Venezia, Bolzano, Padova e Trieste. La terra ha tremato per diversi secondi in maniera prolungata, sussultoria e ondulatoria.

Le vittime accertate finora sono più di una quindicina e tanti i crolli di edifici già danneggiati dal sisma del 20 maggio. All’origine della nuova scossa potrebbe esservi la rottura di una nuova faglia. Sono 8 le vittime accertate del sisma nel Modenese ed è morto anche il parroco di Rovereto di Novi, anche se non è chiaro se sia rimasto vittima di un crollo o di un malore.

 Per i crolli causati dalla nuova forte scossa di terremoto alcune persone sono rimaste ferite. E’ quanto risulta dalle prime verifiche della Protezione Civile che hanno rilevato i danni a altri capannoni industriali. Ad ogni scossa partono gli accertamenti della Protezione Civile per verificare le condizioni delle persone rimaste ferite sotto le macerie per escludere che qualcuno possa aver riportato gravi lesioni. Spero che la popolazione dell’Emilia Romagna, già molto provata dalle scosse telluriche, possa ritrovare al più presto le radici della propria esistenza recuperando, per quanto possibile, i propri averi e la propria abitazione.

LA DIVERSITA’ DI OPINIONI ALL’INTERNO DI UNA SOCIETA’ DEMOCRATICA NEL RISPETTO DELLA DIGNITA’ DELL’UOMO.

LA DIVERSITA’ DI OPINIONI ALL’INTERNO DI UNA SOCIETA’ DEMOCRATICA NEL RISPETTO DELLA DIGNITA’ DELL’UOMO.

Il 27 Dicembre 1947 fu firmata la Costituzione della Repubblica Italiana che rispecchiava le esigenze di fondare uno stato democratico a base popolare dove fossero garantiti i diritti civili e sociali e le libertà personali. La democrazia venne intesa e voluta come sistema nel quale il potere viene esercitato attraverso le istituzioni e nel rispetto dell’autorità di tutta la popolazione. Per tale motivo, l’opinione di ogni singolo cittadino può essere determinante in tutte le questioni del governo ed ognuno ha diritto ad esprimere e a diffondere le proprie idee, quelle in cui crede, in quanto anche questa è una possibile forma di esercitare la democrazia.

L’articolo 18 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo proclama il diritto alla libertà di pensiero quale diritto per così dire propedeutico alla possibilità di formarsi un opinione disponendo delle necessarie informazioni. L’art. 19, però, è più specifico in quanto sancisce che “ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione; il che implica il diritto di non essere turbato a causa delle sue opinioni e quello di cercare, ricevere e diffondere, senza considerazione di frontiere, le informazioni e le idee attraverso qualunque mezzo di comunicazione.”  Il diritto alla libertà di parola non è tuttavia da considerarsi illimitato in quanto, sebbene sia giusto e lecito manifestare pubblicamente la propria opinione riguardo ad un determinato problema, bisogna sempre ricordarsi che alla base di ogni convivenza democratica deve esserci un sentimento al rispetto della dignità dell’uomo. Ridicolizzando o mettendo alla berlina chi non la pensa come noi si viola la dignità umana, cioè si intacca il fondamento stesso di tutta la costruzione del Diritto Universale dei diritti umani.

Un caso di cronaca che ha suscitato grande scalpore qualche anno addietro, quello legato alla vicenda di Eluana Englaro,  ha fatto molto discutere ed ha diviso l’opinione pubblica tra i sostenitori laici dell’eutanasia e i suoi oppositori cattolici contrari a quello che hanno definito come un omicidio volontario. Le discussioni sono state accese poiché in effetti a tutt’oggi manca in Italia una legge sul così detto testamento biologico. Ciascuna delle due fazioni ha portato diverse argomentazioni a sostegno della propria tesi. Così, per i laici la scelta per l’eutanasia esprime il desiderio di qualcuno di “morire con dignità” e pertanto ognuno deve essere lasciato libero di vivere la morte secondo le proprie convinzioni, affidandosi al destino o a Dio  oppure chiedendo ai medici di farla finita. In una società laica e pluralistica ognuno deve essere lasciato libero di darsi o farsi dare la morte.

Questo modo di argomentare si fonda sul concetto di autonomia inteso in senso assoluto e sulla convinzione che la scelta eutanasica che il singolo può fare sia un fatto puramente privato. Ignora cioè la natura della relazione paziente- curante e l’impatto sociale che la legalizzazione dell’eutanasia comporta.

Per contro, i cattolici riferendosi all’enciclica Evangelium Vitae al n.65 , distinguono l’eutanasia dall’accanimento terapeutico, ma sostengono che essa è una grave violazione della legge di Dio in quanto uccisione deliberata e moralmente inaccettabile di un essere  umano.

I GIOVANI E LE EMOZIONI : PUO’ LA SCUOLA INSEGNARE A GESTIRLE?

I GIOVANI E LE EMOZIONI : PUO’ LA SCUOLA INSEGNARE A GESTIRLE?

Aristotele diceva che l’uomo è uno “ zon politicon” ossia un animale sociale. Con ciò il filosofo greco intendeva dire che, da sempre, l’uomo ha avvertito il bisogno e il desiderio di aggregarsi ai suoi simili sia per trarre forza dal gruppo sia per sentirsi parte di una comunità. Spesso, infatti, condividere le esperienze e le emozioni con un nostro simile può aiutarci a comprendere meglio la nostra personalità, chi siamo e dove vogliamo andare. A tutti è capitato di trovarsi in un momento della vita a doversi confrontare con emozioni positive o negative che sono state gestite in modo più o meno corretto oppure totalmente sbagliato. Le emozioni ci accompagnano ogni giorno della nostra vita e, proprio per il fatto che siamo degli esseri sociali e che amiamo la compagnia dei nostri simili, ci troviamo quotidianamente a dover affrontare ogni giorno una vasta gamma di  emozioni.

Le emozioni possono essere infatti paragonate alla tavolozza di un pittore che ha svariate possibilità di creare infinite combinazioni.Spesso però, ci risulta difficile gestire i nostri slanci affettivi o le nostre reazioni emotive di fronte ad alcuni eventi e situazioni. Ad esempio, se pensiamo agli adolescenti e al loro mondo affettivo costituito dai familiari e dagli amici, scopriremo che è proprio con le persone a cui tengono di più che si lasciano andare ad improvvise manifestazioni di aggressività, mentre magari sono perfettamente in grado di controllarsi con un estraneo. Ciò ci fa capire che gli  adulti che pure cercano di trasmettere il sapere, in realtà non possono insegnare una disciplina come la “gestione delle emozioni”.

La famiglia, la scuola sono delle palestre di vita in cui il giovane deve imparare a controllare le proprie manifestazioni emotive, tuttavia ciò non può avvenire attraverso un sapere nozionistico trasmesso passivamente, bensì tramite l’esperienza diretta. Infatti bisogna ammettere che alla fine tutti nel nostro percorso di vita siamo soli e che possiamo imparare solo dai nostri errori. Nessun adulto può insegnarci cosa provare di fronte ad una cosa o ad un evento che ci terrorizza o che ci rende estremamente felici. Certo è che gestire le emozioni significa sapere quando è il momento opportuno per esternarle oppure per trattenerle. Ad esempio non è raro, in una classe di scuola superiore, veder scoppiare liti improvvise tra due o più compagni che, urlandosi gli insulti peggiori, quasi arrivano alle mani spesso per motivi del tutto futili.

Questo è un classico esempio di giovani che non hanno ancora imparato  a gestire le proprie emozioni. Personalmente ritengo di avere ancora molto da imparare al riguardo perchè sono consapevole di non essere sempre in grado di esercitare il giusto controllo  sulle emozioni, soprattutto su quelle negative quali la rabbia o la paura.

Valentina Corrrente

Cos’è la cultura? Come si può acquisire? Qual è il suo scopo?

La cultura è un patrimonio di conoscenza che abbraccia l’intero scibile umano ed il cui valore è incalcolabile.

La definizione generale riportata dai dizionari più comuni intende per cultura quel complesso di cognizioni, tradizioni, procedimenti tecnici, tipi di comportamento e simili trasmessi e usati sistematicamente, caratteristico di un dato gruppo sociale o di un popolo o di un gruppo di popoli dell’intera comunità. Non è possibile dare una definizione univoca di cultura perché le definizioni di cultura esistono in ogni ambito e per ogni disciplina, dalla letteratura alla filosofia, dall’antropologia all’architettura, fino a giungere ai moderni mass-media.

Oggigiorno, tuttavia, questo termine ha assunto due significati precipui. Innanzitutto la cultura è intesa come formazione dell’uomo, come prodotto della formazione umana, ovvero, l’insieme dei modi di vita, degli atteggiamenti, dei comportamenti e dei valori che sono alla base di una società storica. Ma cultura non è solo un insieme di nozioni, non è solo tutto ciò che viene appreso e interiorizzato o memorizzato. È anche ciò che viene trasmesso socialmente, arrivando quindi a comprendere e racchiudere in sé beni, idee, atteggiamenti, abitudini e quant’altro può venir tramandato di persona in persona e da una generazione alla successiva. In questa accezione, cultura diviene pertanto sinonimo di tradizione che, per essere trasmessa, si serve dei cosiddetti “ canali di comunicazione “ o di particolari “ agenzie educative”, quali ad esempio scuola , famiglia eccetera. Tuttavia il processo di acculturazione si attua secondo modalità del tutto soggettive e personali. La cultura, infatti, avvolge l’intero modo di vivere e di pensare delle singole persone. Nell’arco degli ultimi decenni si è registrato un incremento sempre più corposo dei mezzi di comunicazione di massa. Giornali, radio, televisione, cinema, teatro, ecc.si sono affiancati alle tradizionali  fonti di trasmissione della cultura assumendo un ruolo sempre più incisivo. Tuttavia, ciò che questi mezzi diffondono va sotto il nome di “ cultura di massa”, la quale non è altro che un insieme di informazioni, talvolta senza alcuna reale validità. La cultura, quella vera, si può infatti acquisire solo attraverso un consapevole lavoro che preveda l’ espansione delle proprie conoscenze. Si tratta di un lavoro che deve essere basato sulla volontà di ampliare i propri orizzonti conoscitivi, non limitandosi ad un apprendimento passivo basato sulle immagini visive o sul sentito dire, ma ragionando criticamente sugli stimoli che arrivano dalle varie fonti di informazione.

La scuola, come è ovvio, si prefigura come l’organo di trasmissione della cultura per eccellenza ma, a prescindere dalle peculiarità del sistema scolastico, è opportuno ricordare che vi sono altri istituti di cultura i quali si pongono a disposizione dell’intera collettività. Tali sono, ad esempio, le biblioteche, i musei, le gallerie,, le pinacoteche ed altre strutture analoghe, nelle quali le opportunità a disposizione dei visitatori vengono messe a frutto mediante l’iniziativa diretta degli interessati, i quali, studiando le opere dei maestri d’arte, hanno la possibilità di ampliare il proprio bagaglio conoscitivo e di allargare, così, la propria cultura. Recentemente, poi lo sviluppo delle nuove tecnologie informatiche ha portato alla diffusione di internet che dà accesso ad un infinità di notizie, dati e conoscenze. Tuttavia, a parer mio, sebbene i media tradizionali e quelli innovativi abbiano un importante ruolo culturale, essi non possono prendere il posto dei libri o dell’esperienza quotidiana che continuano ad essere maestri di vita. La cultura, infatti, è un processo di crescita individuale, ma rappresenta anche un fattore di progresso per l’intera società. Ci sono persone che pensano ancora che la cultura sia un qualcosa di astratto e, pertanto, inutile, e preferiscono dedicarsi a passatempi banali e senza scopo piuttosto che leggere un buon libro o assistere ad uno spettacolo teatrale che mette in scena un importante opera letteraria.

Eppure un uomo senza cultura è come un corpo senza anima incapace di affermare la propria personalità di esprimere pensieri costruttivi e di partecipare attivamente alla vita sociale. Lo studio, inoltre indispensabile per la conoscenza del mondo in cui viviamo, delle sue strutture. Rinunciare alla cultura, dunque, significa negare il nutrimento vitale al proprio cervello e provocarne il recesso.

Valentina Corrente

Gli effetti negativi dei mass-media

Gli effetti negativi dei mass-media

Nell’età contemporanea i mezzi di comunicazione di massa hanno imposto la loro presenza nella società. Sono parte del nostro sistema di vita. Essi trasmettono e diffondono, presso un pubblico molto vasto notizie, informazioni, conoscenze , proposte, orientamenti, messaggi. Sono prodotti propri della civiltà tecnologica, espressione con la quale viene definita la nostra epoca. Oggi siamo bombardati da messaggi di ogni genere: proposte, manifesti, canzoni, giornali e riviste per tutti i gusti e tutte le occasioni. Messaggi che ci inseguono anche se non li cerchiamo, suggeriti da canali che ci raggiungono ovunque e in ogni momento, che ci portano in casa di tutto, anche nell’istante stesso in cui un evento accade. La comunicazione di massa è accessibile a tutti eppure, se la lettura dell’immagine audiovisiva sembra facile ed immediata, difficile è mantenere un distacco critico: l’immagine tende a confondersi con la realtà.

È difficile sottrarsi alla capacità di condizionamento del mezzo, anche perché è più arduo rendersene conto. I mass-media hanno certamente dato un indispensabile contributo allo sviluppo della società moderna, tuttavia essi producono anche degli effetti negativi che non possono passare sotto silenzio. Le comunicazioni di massa rispondono a bisogni profondi della società attuale e tuttavia sovente li si accusa di manipolare la coscienza, di plagiare gli individui di scarsa capacità di reazione. Televisione, radio, giornali, riviste e cinema influenzano la nostra vita, imponendo le novità, le mode e provocando così un nostro costante adattamento a un tipo di sviluppo della società e delle idee da noi prescelto.

Essi operano in modo subdolo una vera e propria aggressione nei confronti della nostra coscienza della nostra capacità di libera scelta e perfino della nostra privacy. Solo il possesso di un corretto spirito critico, ci mette al sicuro dal rischio della manipolazione. La pubblicità commerciale e la propaganda ideologica agiscono in modo diverso ma utilizzano gli stessi principi e gli stessi strumenti e si configurano come una specie di gioco di destrezza intellettuale, di illusionismo. La velocità dell’informazione e la complessità dei linguaggi, dunque, sono delle tecniche che consentono di aggirare l’ostacolo della capacità critica del singolo. I mass-media , rivolgendosi a un pubblico anonimo, calibrano i messaggi sia deformando i significati originali dei loro contenuti, sia cancellando le tradizioni culturali dei vari gruppi etnici, i quali non possono esprimere le loro esigenze spontanee e devono subire ciò che viene loro proposto. Inoltre i mass-media tendono a confezionare prodotti culturali che non stimolano la riflessione critica, ma solo l’emozione sensoriale. La mancanza di prospettive critiche e di gerarchie di valore, finisce per porre sullo stesso piano, nelle pagine dei rotocalchi, scienziati, artisti ed esponenti della modernità fornendo una visione  passiva e spettacolare della vita.

Per quanto riguarda la stampa, oggi esistono migliaia di giornali: quotidiani, settimanali e mensili. Non a caso quello dei giornalisti è stato chiamato “ quarto potere” per la sua capacità di influenzare l’opinione pubblica. È vero che il lettore ha la possibilità di scegliere tra le notizie che gli vengono fornite quelle che gli sembrano più obiettive. Spesso però il giornalista nel fornire le notizie ne offre al tempo stesso l’interpretazione e il commento, stravolgendo abilmente i fatti e influenzando così l’opinione pubblica. Per quanto concerne la televisione, poi, il potere che essa esercita sulla gente è un fenomeno che ha fatto sempre discutere e che è diventato tra i mass-media, lo strumento più potente poiché provoca una forte assuefazione negli individui e si presta meglio di qualunque altro mezzo per la manipolazione delle menti più indifese. Il piccolo schermo dunque è solo apparentemente inoffensivo: la sua capacità di plagiare le coscienze, dar vita a miti, rendere popolare la violenza attraverso le notizie e le immagini crude sulla guerra e sui delitti, reclamizzare film e prodotti è impareggiabile. Anche il cinema ha una grande forza di suggestione che porta gli spettatori ad immedesimarsi nei personaggi dei film ed imitarne gesti ed espressioni di linguaggio e costumi. Di qui la fondamentale importanza che i messaggi lanciati siano moralmente accettabili e socialmente positivi. Purtroppo non è sempre così  e questi mezzi di comunicazione di massa talvolta si rivelano dei                 “ persuasori occulti” che plagiano le grandi masse diffondendo idee, ideologie e atteggiamenti che tendono ad informare la cultura e a produrre “ modelli umani eterogenei” ossia intelletti pigri che si appagano dei beni di consumo offerti dalla società del benessere materiale.

Valentina Corrente

La piazza luogo dell’incontro e della memoria

“Ci vediamo in piazza”. Con questa frase semplice, ma chiara ed inequivocabile si comunica ad un amico  che l’incontro avverrà nel solito posto. Questa espressione, però, va oltre il suo significato puramente letterale: indica precisamente che cos’è una piazza.  Costruita attraverso lente stratificazioni o realizzata ex novo nelle città di fondazione, è lo spazio privilegiato, il luogo dell’incontro, dell’amicizia, dello scambio, ma anche scenario di manifestazioni, sede di rivolte, punto di raduno per pacifiche attività, testimonianza di un illustre passato.

La piazza è il luogo in cui  cultura e  storia, simboli e tradizioni, rivivono quotidianamente in una forma armonica la cui essenza è possibile rintracciare nell’idea di sicurezza e felicità che una città deve saper offrire ai suoi abitanti. Infatti,quante volte camminando per una città sconosciuta ci siamo improvvisamente fermati, attratti dal fascino misterioso di una piazza e dalle sue architetture e poi ripreso il cammino, quella città, fino allora ignota, è diventata straordinariamente familiare. E quante volte ancora, il ricordo di un viaggio si è fissato su quei luoghi in cui si è sostato a contemplare la vita che vi si svolgeva, le piazze affollate dai turisti, dai fotografi con i loro cavalletti, dai pittori dilettanti piazzati di fronte agli edifici più famosi. Il poeta S.Penne è riuscito a trasmettere tutto il fascino e la magia di Piazza San Marco a Venezia nella poesia in cui parla della “ veneta piazzetta” che  accoglie “ odor di mare e voli di colombi”. Con poche parole egli è riuscito a suscitare forti emozioni olfattive e visive che catturano i nostri sensi facendoci desiderare di trovarci lì, in quella magnifica piazza. Anche W. Gropius nella sua opera “ Discussioni sulle piazze italiane” riferisce di uno studente americano che, dopo aver visto Piazza S. Marco , ne era rimasto così impressionato che gli aveva scritto nella lettera di essersi sbagliato quando in una loro precedente discussione aveva sostenuto che quel tipo di piazza era anacronistico e poco funzionale alla vita moderna.

Sin dall’antichità dell’agorà greca, del foro romano e ancora prima, delle corti dei palazzi cretesi o micenei, la piazza ha mantenuto la sua caratteristica principale di forti concentrazioni culturali e sociali.

Se un turista, appena giunto in un centro abitato piccolo o grande che sia, non sa dove andare, fa due cose: prima di tutto cerca un albergo, poi si dirige verso “la” o “una” piazza. In questo modo troverà sicuramente qualche situazione di suo gradimento. La piazza è dunque prima di ogni altra cosa scena della vita collettiva , di passaggio, di riposo e vi si possono incontrare tutti i generi di persona: il bambino, l’anziano, il ricco, il povero e il senzatetto come i protagonisti delle poesie di Baldazzi e di Bardotti che dormono sull’erba e non hanno “ lenzuola bianche per coprirsi” ma solo il cielo stellato. Essi, dunque, considerano la piazza come casa loro e i turisti come ospiti. Esistono diversi tipi di piazze che variano a seconda dello Stato, della città e persino del quartiere: in Inghilterra sono abbellite da ampi giardini, in Giappone sono dei veri e propri monumenti, con panchine e aiuole e in una vi è addirittura proibito l’accesso, in Messico, ci informa  W. Gropius sono “ piuttosto grandi con portici tutto intorno e la gente è sempre li a comprar nelle botteghe a pettegolare mentre i giovani fanno la corte alle ragazze.” Negli Stati Uniti, invece non vi sono cuori di questo genere, perché purtroppo le piazze sono state sostituite da grandissimi centri commerciali. Vi sono piazze di modeste dimensioni, altre più vaste e altre ancora spropositate, comunque, tutte sono caratterizzate da un monumento, una targa, o una fontana che sono il loro punto focale. Inoltre tutte le piazze sono “luogo della memoria”, tutte hanno una propria storia e racchiudono un mucchio di ricordi. I loro nomi richiamano alla memoria personaggi più o meno illustri ai quali esse furono destinate. Nell’antichità le piazze erano il luogo dove i dotti e  i filosofi impartivano i loro insegnamenti, i giudici istruivano i loro processi e si effettuavano le pubbliche esecuzioni.

Esistono piazze che furono teatro di memorabili manifestazioni come quella di Tienanmen, in cui gli studenti che protestavano furono investiti dai carri armati, oppure quella di  Praga, nelle cui vicinanze un giovane si diede fuoco in protesta contro il regime sovietico. Come non ricordare poi, che quasi tutte le principali piazze del mondo occidentale hanno fornito la scenografia più adatta per le manifestazioni no global nonché quelle a favore della pace.

Le piazze, antica sede di mercati ed il cuore in cui pulsavano tutte le attività socio- economiche e culturali, tuttora accolgono variopinti mercatini, per lo più di frutta, verdura e antiquariato, e ci fanno sentire a nostro agio dandoci la possibilità di incontrare persone diverse ed esprimere liberamente la nostra opinione, adempiendo in tal modo alla funzione per la quale sono nate: creare uno spazio per tutto e tutti.