Dal 2008 l’economia mondiale è in recessione. Una bufera di incredibile forza si è abbattuta sui mercati finanziari e sulle economie di tutto il mondo. Voci autorevoli ci informavano, già da alcuni anni, della crisi dell’economia e del credito americani, soprattutto di quei famosi mutui subprime che stavano gettando sul lastrico migliaia di famiglie. Poi abbiamo visto in tv gli impiegati della banca d’affari Lehman Brothers portarsi via dai propri uffici gli scatoloni contenenti gli effetti personali, licenziati dall’oggi al domani. Infine abbiamo assistito al crollo di Wall Street con l’indice Dow Jones in caduta libera.
Proprio come nel 1929, quando il “giovedì nero” di Wall Street fu testimone del crollo della Borsa di New York, e la grave crisi economica ben presto si propagò al resto del mondo con effetti devastanti, si è generato oggi un effetto-domino che ha investito tutti i paesi industrializzati,
In Europa, dove l’euro si era rivelata negli anni scorsi una moneta molto forte, guadagnando costantemente nei confronti del dollaro, si è affermato negli ultimi mesi un periodo di grave crisi, da cui ancor oggi non siamo usciti e che si preannuncia particolarmente lunga e difficile.
Quanto accadde all’epoca sembra essere tornato improvvisamente d’attualità. Anche oggi, gli Stati Uniti hanno innescato un processo recessivo che sta bloccando il settore creditizio e di mobilitando la produzione industriale, riducendo la propensione all’acquisto di beni di consumo, ed elevando il tasso di disoccupazione. E tutto questo a discapito soprattutto delle classi sociali più deboli, di coloro che non hanno un’occupazione o svolgono un lavoro precario, che non riescono a garantire una vita dignitosa alla loro famiglia o sono impossibilitati, come tanti giovani di oggi, a crearne una nuova, sposandosi o convivendo. Pensiamo, ad esempio, all’Italia che presenta ancora un elevato tasso di disoccupazione, soprattutto nel Mezzogiorno, dove è molto diffuso il cosiddetto “lavoro nero”. Il numero delle aziende costrette a chiudere aumenta di giorno in giorno con il conseguente aumento del numero dei disoccupati. La condizione di precarietà delle classi lavoratrici (con molte famiglie che non riescono a far quadrare i conti alla fine del mese) è in continua crescita in quanto le aziende, per rallentare la produzione, sono costrette a licenziare gli operai o a metterli in cassa integrazione, allontanandoli temporaneamente dalla lavoro, sospendendo il salario, sostituito da un’indennità inferiore. Questa, come diceva Marx, è un’ovvia conseguenza della sovrapproduzione, cioè dell’eccesso produttivo che resta invenduto. Il filosofo tedesco, infatti, sosteneva che le crisi che periodicamente mettono in dubbio la stabilità del capitalismo si originano non dalla povertà, ma da un eccesso di produzione in un determinato settore dell’economia. A ciò si aggiunga che paesi come l’Italia, stanno scontando la maggiore competitività di Paesi dove il lavoro costa meno. La globalizzazione sta impoverendo i ceti medi, principalmente coloro che operano nei settori economici tradizionali, dove la manodopera straniera a minor costo determina un congelamento delle retribuzioni degli occidentali. Dal punto di vista economico, la nostra nazione ha perso, negli anni, competitività. Dove non c’è vera concorrenza, una delle leve più forti dell’efficienza economica, dove i costi della politica e dei privilegi diventano sempre più onerosi e insostenibili per i comuni cittadini, dove la criminalità organizzata controlla una parte cospicua del territorio nazionale, intere generazioni di giovani sono tagliate fuori, di fatto, dalla possibilità di progettare il proprio futuro, di aspirare a un lavoro stabile, con una retribuzione accettabile, e a una futura pensione. La situazione è comunque difficile un po’ ovunque. La crisi dell’euro,infatti, è cominciata con le difficoltà della Grecia, dove particolarismi, corruzione, clientelismi e un settore pubblico pletorico hanno determinato conti pubblici fuori controllo e una crisi economica senza precedenti, come si evince dai tragici eventi occorsi di recente in questo Paese.
Oltre che delle speculazioni finanziarie, gli europei stanno pagando il prezzo di una globalizzazione, che li mette in competizione serrata con le economie emergenti del pianeta, dove il rapporto costo del lavoro-produttività è più vantaggioso per gli investitori, come Cina, India, Brasile e Indonesia. Eppure, lo sviluppo delle nuove tecnologie nei settori dell’elettronica, dell’informatica, delle telecomunicazioni insieme al decollo economico di grandi paesi emergenti come l’India e la Cina, inizialmente stava apportando benefici anche all’Europa in termini di crescita del prodotto interno lordo dei Paesi membri. La grave crisi economica è stata determinata, dunque, dall’orientamento del processo industriale verso la quantità dei consumi individuali piuttosto che la qualità. Ciò ha fatto si che si accumulassero le scorte di invenduto nei magazzini delle imprese. E così oggi ci troviamo di fronte alla realtà di negozi che chiudono quotidianamente mentre le piazze vengono occupate da mendicanti e barboni di ogni tipo, presenze poco rassicuranti per il cittadino quando non apertamente inquietanti e minacciose. Eppure è possibile che l’Italia, proprio in virtù di una certa arretratezza economico-finanziaria, riesca ad attutire, almeno in parte, gli effetti negativi della crisi.. Le nostre, infatti, non sono banche di investimento, bensì banche commerciali e hanno conservato una certa prudenza negli investimenti e nel concedere prestiti senza garanzie, rispetto all’aggressivo e innovativo mercato americano. Pertanto, la crisi economica che sta mettendo in ginocchio l’Italia, nel quadro globale di uno sviluppo senza occupazione, potrebbe costituire un’opportunità per rifondare la nostra economia. In quest’ottica, la parola “crisi” non ha solo un’accezione negativa: significa anche “opportunità”, “scelta”. Occorre dunque mettere in atto una vera e propria distruzione creatrice, per usare un’espressione dello studioso tedesco Joseph Schumpeter. Si tratta di tagliare privilegi e rendite di posizione a politici, professionisti e membri della pubblica amministrazione, di valorizzare i giovani e di attuare una giusta politica fiscale. Occorrono, allora, regole chiare che tutelino i piccoli risparmiatori e le classi più povere istituendo inoltre organismi di controllo, al di sopra delle parti, che garantiscano i più deboli e svolgano il ruolo di arbitri del mercato.
Catastrofi naturali in continuo aumento
Sono tanti i fenomeni naturali devastanti che si stanno verificando continuamente, dall’eruzione continua dei vulcani ai terremoti costanti che sembrano dominare le varie epoche della nostra storia. Tante le sciagure che hanno segnato gli ultimi anni : basti pensare al terribile evento che solo un anno fa ci ha fatto partecipare tutti, tramite le notizie e le immagini trasmesse dai media, con Internet e i social network , alla catastrofe causata dal terremoto verificatosi nel mese di aprile 2009 in Abruzzo. Tutti siamo rimasti atterriti dal numero di morti, feriti, dispersi, sfollati, dalle urla di dolore, dalla sofferenza fisica e psicologica di vittime e sopravvissuti. Tante vite spezzate di uomini e donne, bambini, giovani, vecchi. Tanti progetti esistenziali interrotti dalla prepotenza di un disastro naturale, provocato da una Natura non più benigna ma ingannatrice, indifferente alla sorte dell’uomo.
Cosa dire poi delle eruzioni vulcaniche che periodicamente portano paura, morte e distruzione in vari Paesi, nonché disagi ambientali come nel recente caso dell’eruzione del vulcano islandese che, dopo 200 anni di quiete ha eruttato, creando una fessura lunga un chilometro nel The volcano near Eyjafjallajoekull glacier began to erupt just after midnight, sending lava a hundred metres high.vicino ghiacciaio Eyjafjallajoekull. Fortunatanete l’evento si è verificato in una zona scarsamente popolata, ma gli effetti a catena dall’eruzione sono stati comunque considerevoli.
A state of emergency is in force in southern Iceland and transport connections have been severely disrupted, including the main east-west road. E stato dichiarato lo stato di emergenza nel sud dell’Islanda e i collegamenti con i trasporti sono stati seriamente danneggiati, compresa la strada principale est-ovest. Dopo una sequenza di eventi vulcanici a Eyjafjöll in Islanda, il 14 aprile 2010, l’eruzione è entrata nella seconda fase creando una nube di cenere che ha portato alla chiusura della maggior parte dello spazio aereo europeo, dal 15 fino al 20 aprile 2010. Consequently, a very high proportion of flights within, to, and from Europe were cancelled, creating the highest level of air travel disruption since the Second World War . Di conseguenza, molti voli all’interno, verso e dall’Europa sono stati cancellati, creando il più alto livello di disgregazione del viaggio aereo dopo la seconda guerra mondiale. Quando si parla di terremoti o eruzioni vulcaniche, ossia di eventi totalmente naturali che si sono verificati fin dall’inizio dei tempi, non si può far altro che cercare di farsene una ragione pensando che non può esserci una spiegazione logica per eventi di questo tipo. Ma quando si verificano gravi incidenti che hanno ripercussioni negative sull’ambiente che ci circonda come nel caso delle piattaforme petrolifere danneggiate non si può non pensare che il responsabile di tutto ciò sia l’uomo stesso.
Gravi incidenti alle piattaforme non sono nuovi, basti pensare alla più grande piattaforma galleggiante del mondo colata a picco in dieci minuti con le sue 1.500 tonnellate di greggio a 125 chilometri da Rio de Janeiro una decina di anni or sono. La rottura dell’oleodotto provocò danni notevoli ma comunque di portata inferiore a quelli che sta causando attualmente la marea nera provocata dal petrolio fuoriuscito in seguito all’ esplosione della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon. L’esplosione nel Golfo del Messico è avvenuta a fine aprile 2010. Grande quanto l’isola della Giamaica, la macchia nera di petrolio è ormai diventata il peggior disastro ambientale degli ultimi decenni negli USA con forti ripercussioni anche sull’economia della regione e sul turismo.
Infatti, per ripristinare l’ecosistema, l’habitat della fauna, ci vorranno anni,di conseguenza, la compagnia British Petroleum, responsabile della piattaforma, è alle prese con un caso colossale di “management della crisi“. Finora la British Petroleum ha speso 1,25 miliardi di dollari per cercare di arginare la marea nera ma la cifra è destinata a crescere, soprattutto per via delle multe che ammonteranno a miliardi di dollari. Catastrofe ecologica senza precedenti, l’incidente della Bp ha indotto il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama a spronare nuovamente la Nazione ad approvare un uovo progetto di legge sull’ambiente per ridurre l’inquinamento e la dipendenza degli Stati Uniti dal petrolio. Obama ha chiesto quindi di accelerare il ricorso ad energie alternative e ha promesso l’introduzione di limiti all’inquinamento da Co2 e di tasse per le società che eccedono questi limiti. Grande quanto l’isola della Giamaica, la macchia nera di petrolio è ormai diventata il peggior disastro ambientale degli ultimi decenni negli USA con forti ripercussioni anche sull’economia della regione e sul turismo.
Un proverbio indiano recita “Abbiamo la Terra non in eredità dai genitori, ma in affitto dai figli”. Ciò significa che l’uomo dovrebbe sentirsi direttamente responsabile del futuro del pianeta in quanto esso sarà la dimora dei propri figli. Tra gli scienziati si possono riscontrare due posizioni contrastanti. Alcuni sostengono che la Terra è da sempre testimone di un alternarsi di epoche più fredde e più calde e,attualmente, stiamo semplicemente vivendo il periodo più caldo. Altri, al contrario, affermano che le temperature globali non sono mai aumentate con tale rapidità. Le calotte Polari si stanno sciogliendo e non si sono mai registrati dei modelli climatici così imprevedibili come quelli odierni. Il responsabile di tutto ciò è, secondo questi studiosi del clima, l’inquinamento provocato dall’uomo. Il rapporto Climate Alarm dell’Oxfam, Organizzazione internazionale non governativa che lotta per combattere la povertà nel mondo, parla chiaro: i disastri causati dal clima erano una media di 120 l’anno all’inizio degli anni ‘80 mentre se ne registrano circa 500 l’anno ai giorni nostri. Questo moltiplicarsi degli eventi avversi è, secondo Oxfam, in linea con i modelli sviluppati dalla comunità scientifica internazionale. I cambiamenti climatici sono sempre avvenuti
ma, mentre in passato essi avvenivano per cause naturali, oggi sono per lo più imputabili all’attività umana. Secondo gli scienziati questo aumento della temperatura è dovuto all’effetto serra. Il pianeta si è scaldato di circa mezzo grado negli ultimi 100 anni a causa delle emissioni di anidride carbonica provocata dall’uomo. Però l’effetto serra è un fenomeno naturale e positivo, soltanto la sua accentuazione è da temere. Il problema è che, a causa dell’aumento dell’uso dei combustibili fossili, come carbone e petrolio, è aumentata la presenza di anidride carbonica nell’aria, infatti soltanto una parte di essa viene assorbita da foreste d’oceani. Gli studiosi pensano che questo porterà in futuro ad un notevole aumento della temperatura. Alcuni indizi si sono già riscontrati. I ghiacciai stanno diminuendo e così pure le parti della terra sempre innevate. Il livello del mare sta salendo e uragani e tornadi sono sempre più forti e più frequenti. Gli tsunami, poi, maremoti di proporzioni gigantesche, costituiscono una minaccia sempre in agguato. Il dissesto idrogeologico,inoltre, si pone alla base di ricorrenti cataclismi che periodicamente devastano intere zone d’Italia e d’Europa. In questi casi, non sempre è possibile invocare la fatalità, la naturalità, o l’imprevedibilità degli eventi, dal momento che molte responsabilità sono attribuibili direttamente alla dissennatezza dell’uomo, il quale sembra non rendersi conto che, provocando il degrado ambientale, mette a rischio la sua stessa sopravvivenza. Ai nostri giorni, non è raro il caso che una pioggia prolungata arrivi a produrre frane, smottamenti, allagamenti, e finanche dei morti. A questi avvenimenti, però, si aggiungono anche i casi “straordinari”, coincidenti con quelle alluvioni in grado di causare ingenti distruzioni ed un alto numero di vittime, al punto da determinare il blocco di qualsiasi attività e l’attivazione di situazioni d’emergenza nelle località colpite da questi disastri. Come dimenticare, per esempio, le spaventose calamità che quasi ogni anno si abbattono sull’Europa centro-settentrionale, dove numerosi Stati sono sistematicamente costretti a fare i conti con agli straripamenti di fiumi e torrenti provocate dalle piogge stagionali. In tutti questi casi, l’attenzione dei mass media e delle autorità competenti si è appuntata soprattutto sulla quantità dei morti e sull’entità dei danni, ovvero sulle misure di emergenza e protezione civile che sono state attivate con incerta tempestività ed efficacia per tentare di far fronte alle pressanti esigenze e alle drammatiche richieste d’aiuto delle popolazioni in difficoltà. Non altrettanto spazio, però, è stato dedicato alla considerazione di ciò che si sarebbe potuto e dovuto fare per prevenire o evitare quelle tragedie, alcune delle quali possono essere certamente addebitate anche all’incuria e all’irresponsabilità degli uomini. A fronte di tale realtà la comunità internazionale ha compreso che gli aiuti umanitari in particolare quelli di emergenza, devono essere preceduti, ove possibile, da più efficaci misure di prevenzione dei disastri e a noi non resta altra possibile reazione, di fronte a tanta devastazione, che essere solidali l’un l’altro. Solidarietà che si esplica attraverso il lavoro dei soccorritori: vigili del fuoco, speleologi, militari, operatori sanitari, forze dell’ordine, volontari e semplici cittadini, tutti accomunati nella volontà di portare aiuto, a rischio della propria vita, malgrado l’angoscia che le varie catastrofi inducono nell’animo di tutti.