Interculturalità a Scuola

Come può la didattica rendere possibile l’interazione tra individui che non hanno le stesse coordinate culturali?

 

Il Consiglio d’Europa ritiene importante incoraggiare i multilinguismi ma solo al fine di sviluppare il plurilinguismo, ossia fare in modo che vi sia interazione e scambio tra le varie lingue. In tal modo, queste ultime formeranno insieme un unico bagaglio che dovrà interagire nelle conoscenze dei vari attanti. Alcuni paesi hanno deciso di lasciare ai vari popoli la propria cultura. In Francia e Germania si è visto che il dramma non è quello dei padri ma quello dei figli che hanno comportamenti diversi e differenziati “i figli che incendiano” e “i figli che fanno saltare le metro”. L’intercultura deve aiutare a crescere attraverso il confronto con l’altro e, mentre i Francesi hanno risposto con un’idea che parte dal concetto di cittadinanza e laicità in base al quale in Francia ciascuno è cittadino francese e nessuno lascia emergere il suo passato, l’Italia ha puntato sull’oralità che sia interazione con l’Altro nel rispetto dell’altro e sulla creazione di una nuova identità nazionale. Il punto di vista interculturale dice che le culture non devono essere intese come corazze che impediscono la crescita perché esse sono pur sempre il prodotto umano e il loro compito è quello di sorreggere l’uomo nel suo affrancarsi dalle condizioni di partenza.

 

Per tale motivo la scuola italiana è stata chiamata a ripensare i propri modelli legislativi e culturali attraverso le seguenti circolari ministeriali inerenti l’ interculturalità a scuola :

 

  1. 1989: ( 301/1989) Inserimento degli stranieri nella scuola dell’obbligo.

 

  1. 2.   1990: ( 205/1990) La scuola dell’obbligo e gli alunni stranieri. L’educazione interculturale

 

  1. 1994: ( 73/1994) Proposte iniziative per l’educazione interculturale.

 

Come riportato nel documento 73/1994, “L’educazione interculturale si esplica nell’attività quotidiana dei docenti sulla base di una rinnovata professionalità e si sviluppa in un impegno progettuale e organizzativo fondato sulla collaborazione e sulla partecipazione”.

Ciò vuol dire non solo scambiare informazioni, ma vivere e far vivere esperienze, attivare un continuo confronto non solo tra gli operatori della scuola, ma anche tra i soggetti impegnati nei servizi di territorio o investiti di responsabilità sociali.

L’educazione interculturale promuove i valori che danno senso alla vita; non sono tutti nella nostra cultura, ma neppure tutti nelle culture degli altri. Non tutti nel passato ma neppure tutti nel presente o nel futuro. Essi consentono di valorizzare le diverse culture ma insieme ne rivelano i limiti e cioè le relativizzano, rendendo in tal modo possibile e utile il dialogo e la creazione della comune disponibilità a superare i propri limiti e a dare i propri contributi in condizione di relativa sicurezza.

L’educazione interculturale introduce anche una riflessione sulla propria cultura e ne rafforza la consapevolezza per cui tra gli obiettivi dell’educazione interculturale si evidenzia la necessità di insegnare ai giovani a confrontarsi con le differenze sia culturali sia fisiche che, a volte, nascondono un’identità culturale. Gli allievi devono imparare a confrontarsi e a gestire le diversità, occorre insegnare loro ad acquisire la competenza interculturale che consente di comunicare in una modalità diversa.

L’educazione interculturale dovrebbe insegnare a risolvere i conflitti, a lavorare in una società interculturale, a confrontare i propri valori con quelli dell’altro. Essa deve insegnare la tolleranza, perché solo l’apertura verso gli altri  può combattere il razzismo, i pregiudizi, gli stereotipi.

Guardare all’altro con una predisposizione all’ascolto, all’accoglienza e non con rifiuto che scatena anche la xenofobia (l’altro invade i miei spazi, l’altro trasforma la mia cultura in qualcosa di diverso).

Bisogna tener presente che la didattica interculturale non è solo una questione di integrazione di contenuti né tanto meno una materia a sé. L’interculturalità è un punto di vista, una prospettiva che pertanto va fatta nelle ore di geografia, scienze, musica e di lingue, ovviamente. Per cui, ogni singolo insegnante, partendo dai bisogni del discente, può  adattare l’insegnamento a ciascun allievo. Ciò significa ancorarlo ai suoi stili cognitivi, alle sue pre-conoscenze, alle sue modalità e potenzialità comunicative.

Dunque, il buon esito dell’integrazione culturale è legato  alla capacità degli insegnanti di guidare processi di insegnamento/apprendimento in una situazione determinata dall’incrocio di culture. Tutto ciò ovviamente richiede una certa professionalità orientata alla ricerca di  nuove strategie e metodologie didattiche.

Nell’ottica di una pedagogia interculturale, tra le varie strategie che si possono utilizzare vi sono esempi di testualità diverse: ad esempio si può ipotizzare l’impiego di testi pubblicitari, film, cartoni animati, favole, articoli di giornale, barzellette ecc. in cui siano presenti gli stereotipi culturali. Occorre, però, evitare di utilizzare materiali tratti dai libri di corsi di lingue in quanto essi non sarebbero autentici: l’insegnante dovrà sforzarsi di ricercare modalità di insegnamento che non siano scontate.

La pubblicità è un buon esempio in quanto essa è stringatissima, il gioco è tutto sull’immagine che si accoppia alla parte testuale, e i modi di scrivere sono particolari.

Un articolo è già più complesso, si può però tagliarlo, scegliere una porzione che sembra interessante, e calibrarlo in base all’età e al livello di competenza linguistica degli studenti.

Per quanto concerne i film, linguisticamente essi presentano alcune difficoltà linguistiche ma il compito dell’insegnante sarà quello di attirare l’ attenzione degli alunni solo su alcuni particolari.

L’ideazione e la ricerca di approcci nuovi, tuttavia, non deve far dimenticare la grande difficoltà rappresentata dal problema linguistico che influisce sulla situazione psicologica degli alunni. Imparare una seconda lingua comporta dei disagi soprattutto di tipo linguistico, dunque il docente non può tralasciare di effettuare un serio lavoro sulla lingua al fine di aiutare i suoi allievi a superare il divario tra le due dimensioni linguistiche. Il docente che metta in atto un approccio interculturale, dunque, dovrà arrivare all’intercultura usando la lingua stessa!

La comunicazione è un momento per il dialogo ma essa, ovviamente,non si limita alla competenza linguistica: in realtà bisogna saper gestire le varietà diatopiche e diastratiche delle lingue insieme ad altri codici come la gestualità o la competenza cinestesica. Vi sono, poi, altre competenze fondamentali che richiamano il contesto della comunicazione e la capacità di sapersi relazionare al luogo, al momento e agli interlocutori, e con ciò parliamo di competenza socio-comunicativa oppure pragmatica, che è la capacità di saper gestire la comunicazione adeguandosi all’interlocutore.

La lingua, nella sua oralità, non è solo una sequenza di fonemi: il suono della lingua è associato al sistema fonologico e ciò significa sapere associare sequenze di suoni a significati. Ma oltre ad essere associata a questi elementi discreti, la lingua è collegata anche a elementi non discreti come la competenza intonativa. Ogni lingua ha le sue norme intonative e le utilizza in maniera indifferenziata. Questo non è un elemento a favore della comunicazione perché esse inibiscono la comprensione, le frasi variano,una sequenza di parole assume un significato diverso a causa della curva di intonazione.

Un lavoro su questi aspetti non è semplice ma andrebbe effettuato a scuola per avere una visione completa sul funzionamento della comunicazione. Nel C.E.F. troviamo tutte le competenze che devono essere proposte e presentate in classe: competenza di traduzione ed interpretazione insieme alle competenze comunicative che gli alunni devono acquisire di pari passo allo sviluppo della lingua.

Una strategia linguistica nell’ottica dell’interculturalità ci viene fornita dagli stereotipi linguistici: è interessante partire da quelli presenti nella lingua italiana come ad esempio “fuma come un turco”, “bestemmia come un turco”, “vu’ cumprà”, per cercare poi quelli in lingua straniera ( Inglese, Francese, Tedesco, Spagnolo, ecc.) che abbiano delle connotazioni particolari di popoli. Bisogna rendere gli alunni consapevoli del fatto che ogni stereotipo nasce da qualcosa e, pertanto, si sceglieranno delle espressioni in lingua straniera e le si confronteranno con le strutture simili o molto diverse in italiano. Occorre riflettere in particolare sugli stereotipi che richiamano gruppi linguistici, etnici, razziali come “fuma come un turco”, “sembra uno zingaro”, “è tirchio come un ebreo”, “sembra un profugo albanese”, “sembra un tedesco”, “fa l’americano”, “beve come un irlandese”, ecc.

Partendo dalla normativa, al fine di abbattere certe barriere culturali e certe forme di razzismo, si può cogliere un momento specifico del nostro percorso e si può adottare una strategia rappresentata dalla scelta di argomenti da recuperare in riviste o quotidiani di attualità e/o politica esteri e di confrontarli con articoli presenti in riviste italiane. Nel momento della scelta occorrerà  motivare la scelta dei materiali utilizzati, inquadrare il lavoro in una prospettiva particolare, motivare la scelta della tematica spiegando perché vogliamo introdurla nella nostra programmazione didattica; spiegare  dov’è l’ elemento di comparabilità e quale la sezione comparata.

Occorre trovare punti di vista diversi e fare un lavoro sia linguistico che testuale. L’articolo scelto non deve essere lunghissimo ma deve essere reale; il testo comunque può essere anche un testo pubblicitario,un articolo di giornale, di una rivista, può essere una parte particolare di una rivista che andrà messa a confronto con quella italiana. Ad esempio si possono utilizzare le lettere della posta di un giornale italiano e confrontarle con uno straniero. Ovviamente, si sceglieranno quotidiani e riviste dello stesso orientamento politico e/o culturale, e si andranno a recuperare le modalità in cui la notizia viene proposta in base alle differenze culturali per poi presentare una lezione su queste ultime.

Infine sarà opportuno effettuare anche degli esercizi che portino un arricchimento linguistico alla classe.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tra Multiculturalità ed Educazione Interculturale – Il nuovo volto della scuola italiana

Il filosofo Emmanuel Lévinas scrive “il nostro rapporto col mondo, prima ancora di essere un rapporto con le cose, è un rapporto con l’altro. È un rapporto prioritario che la tradizione metafisica occidentale ha occultato, cercando di assorbire e identificare l’altro a sé, spogliandolo della sua alterità”. Per diversi studiosi, la riflessione di Lévinas sull’ Altro costituisce uno dei fondamenti teorici del multiculturalismo contemporaneo, suggerisce, cioè,una visione nuova e diversa dei rapporti fra gli individui e fra le culture: rapporti fra diversi, che come tali vanno riconosciuti e valorizzati. Solo attraverso questo riconoscimento è possibile attivare una comunicazione autentica fra le culture, senza affermazioni egemoniche di una sull’altra. Questa è una prospettiva feconda, attraverso cui, ad esempio, è possibile guardare in modo nuovo ai problemi di rapporti fra le culture che vengono a determinarsi con i processi migratori in atto su scala planetaria. Infatti, anche se la società moderna sembra ormai avviata a diventare multietnica e multiculturale, molti e rilevanti sembrano ancora gli ostacoli che si pongono alla diffusione di un’autentica “cultura dell’accoglienza” nei confronti dell’immigrazione. Osservando la società attuale, appare evidente una forte contraddizione: da un lato, si propende con fiducia per un processo di “globalizzazione” e di apertura che limiti quanto più possibile le barriere

politiche, culturali e soprattutto economiche tre vari paesi del mondo; dall’altro, si guarda con sospetto, ostilità e repressione ai flussi migratori che, dal Sud del pianeta, si spostano verso il Nord.

Pensare ad un mondo in cui le diverse razze e culture si integrino fra di loro, pur mantenendo ciascuna la propria specificità, è elogiabile e forse realizzabile, ma non può far dimenticare le difficoltà e le diffidenze che caratterizzano in molti casi i rapporti tra immigrati e paesi d’accoglienza, originando malcontento ed esasperazione in alcuni strati della popolazione di questi ultimi.

Proprio adesso che ci si avvia verso un mondo globale, emerge in tutta la sua complessità il problema della convivenza tra etnie e culture di varia natura.

Analizzando più nel dettaglio la situazione di due Stati europei come la Francia e la Gran Bretagna, possiamo trovare modi diversi di gestire il problema degli immigrati. In Francia, essi si sono gradualmente integrati, indipendentemente dalla loro origine e dalla religione professata, alla popolazione locale. In Gran Bretagna, invece, avviene un’assimilazione che però non compromette il mantenimento delle peculiarità etniche, religiose e culturali proprie della comunità a cui ciascuno appartiene. Da anni anche l’Italia, per l’afflusso di tanti immigrati soprattutto dal Nord Africa, dal Medio Oriente, dall’Albania e dagli altri paesi dell’Europa orientale, sta avviandosi verso la multietnicità. Tuttavia, privi dell’esperienza chegli americani, per la diversità della loro storia, hanno riguardo alla convivenza sul loro territorio di etnie diverse, e senza neppure la consuetudine a vedere nelle nostre città gruppi di persone provenienti dalle ex colonie, che ha caratterizzato francesi, inglesi ed olandesi, noi italiani siamo stati colti impreparati dal massiccio afflusso di extracomunitari che ha interessato, di recente, il nostro Paese.  L’Italia, paese con una lunga esperienza di emigrazione, attualmente sta vivendo, in ritardo rispetto paesi come Francia e Inghilterra, un  momento di immigrazione massiccia ed estremamente variegata. Cosicché nella nostra società, che da omogenea si sta trasformando in disomogenea, da religiosamente compatta a religiosamente differenziata, da monoetnica a multietnica, da monolinguistica a plurilinguistica, la multiculturalità è ormai un dato di fatto. Basta dire che nelle scuole italiane,     – tra italiano, dialetti, minoranze linguistiche storiche e minoranze linguistiche nuove- si contano ben 190 lingue diverse.

Di recente sui giornali si sono susseguiti centinaia di articoli che riguardano episodi, più o meno gravi, di intolleranza razziale, fatti di cronaca nera che vedono come protagonisti extracomunitari, dibattiti politici su questa o quella proposta di legge per espellere gli immigrati clandestini o tentare di dare sistemazione dignitosa ai “regolari. Per contro, sono emersi in molti paesi industrializzati, Italia compresa, atti di discriminazione, ostilità e razzismo che hanno visto spesso gli immigrati come oggetto di aggressioni che provocano non di rado delle vittime. Dunque,l’integrazione dei popoli e delle culture non è un obiettivo di facile attuazione ma certamente non possono essere giustificati gli atti di discriminazione, ostilità e razzismo. Occorre lavorare alacremente per diffondere presso molte persone un senso di solidarietà verso tutto ciò che appare diverso da loro, nella consapevolezza che un individuo, prima di essere europeo o africano, è un essere umano le cui origini della cultura sono sì elementi di identità e di specificità da preservare, ma sono anche soprattutto mezzi di scambio e comunicazione attraverso cui attuare una completa integrazione ed una pacifica convivenza di tutti popoli.

Di fronte a questi fenomeni in continua e rapida evoluzione, di fronte ad una società sempre più multiculturale e multietnica, si sono posti al sistema scolastico problemi e sollecitazioni di fronte ai quali i tradizionali strumenti e metodi educativi risultano inadeguati. Come viene ribadito sempre più spesso nelle circolari ministeriali del nostro paese, si ritiene, infatti, oramai necessaria l’apertura della pedagogia a una dimensione interculturale, centrata sulla conoscenza e sulla gestione positiva delle dinamiche che nascono dall’incontro con la diversità.

E  il tema della diversità, nella sua complessità e radicalità, è il concetto nodale: come la normativa vigente tende a più riprese a sottolineare, infatti, una educazione interculturale presuppone una più generale educazione alla differenza, intesa come meccanismo essenziale del nostro essere nel mondo e il nostro modo di confrontarci con l’esterno.

La differenza è il nostro modo di leggere la realtà: noi pensiamo, ragioniamo e conosciamo il mondo unendo il simile e dividendo il diverso. Ma, ancor prima, la differenza è un fatto umano: esiste in primo luogo una diversità biologica, centrale nella storia dell’umanità. Poi ci sono le normali differenze interne alla vita dei singoli individui: il carattere, i sentimenti, le reazioni, essere giovani, ecc. Per concludere c’ è poi la differenza culturale, cioè quella tra noi e gli altri popoli, ovvero coloro che parlano un’altra lingua, adorano un altro dio, seguono altre leggi e si attengono ad altri modelli sociali.

Una diversità in tutti i casi è difficile, scomoda, perché ci spinge a interrogarci sul confine tra il rispetto dell’altro e delle sue scelte e la difesa delle nostre scelte e della nostra identità, sulla validità e sui limiti della nostra “norma”.

Il diverso è anche l’estraneo, l’opposto, e quindi per certi aspetti il nemico. C’è un naturale, istintivo desiderio di autoaffermazione in noi che deve fare i conti con la presenza di qualcosa che è diverso, in altre parole qualcosa di cui non facciamo parte e che, proprio per questo, ci minaccia; siamo insomma istintivamente portati a rifiutare l’altro, ad affermare attraverso questo rifiuto la nostra “totalità”, la nostra centralità e priorità rispetto al resto del mondo.

È in questo senso che le differenze culturali e le relazioni interetniche in seno ad una società multietnica come la nostra rappresenta un problema da affrontare.

Informarsi, confrontarsi con il diverso, capirlo, è molto difficile, implica un grande sforzo, ma soprattutto mette in discussione, ci potrebbe mettere in crisi. E così ci accontentiamo di giudizi sommari sui “diversi”, di stereotipi (in genere negativi), di pregiudizi (rubano il lavoro, rubano le donne/uomini, non si vogliono integrare,…) che ci portano a segnare una separazione, un rifiuto, e nello stesso tempo, una gerarchia (ovviamente a nostro vantaggio).

Fissare in immagini pregiudiziali non è solo un facile strumento di riduzione del diverso alle nostre categorie, ma serve anche a creare un’immagine positiva di noi e a giustificare le nostre azioni. Purtroppo i pregiudizi e la tendenza alle semplificazioni e a rappresentazioni distorte radicalizzano le incomprensioni, impediscono l’incontro, lo scambio reciproco e lasciano dominare la fobia del diverso, il desiderio di non vederlo, di negarlo, di ricacciarlo da dove è venuto. E tutto ciò spiana il terreno al razzismo. Ma di fatto il nostro futuro comprende il convivere con la diversità ed è, dunque, necessario imparare a farle posto. Ciò significa in primo luogo smascherare i pregiudizi e le ottusità nascoste nei luoghi comuni più scontati, quindi mettere in discussione conoscenze, valori ed istituzioni, decentrare e relativizzare il nostro punto di vista, acquisire punti di vista in più, dare spazio anche ciò che non è come noi.

Questo perché l’ identità culturale non è un blocco monolitico e statico, ma, prima di tutto, un prodotto umano e quindi qualcosa di dinamico che può assorbire gli stimoli esterni, trasformarsi, divenire.

Nessuno è per sua intrinseca natura “diverso”, è sempre la prospettiva di chi guarda a determinare la realtà, stabilire chi è “normale” e chi no, in base alle sue idee, ai suoi desideri, alle sue paure. Basta cambiare posizione, ipotizzare, lasciare spazio ad uno sguardo diverso, per scoprire un altro modo di leggere la realtà,un’altra scala di valori. Rifiutare questa relatività e porre come assoluta la propria centralità significa negare l’altro. Ma, d’altra parte, è impensabile rinunciare al proprio punto di vista, alla propria scala di valori, che si dissolve nella propria identità, in altre parole attuare una completa assimilazione. La soluzione è tra questi due estremi opposti, nel trovare cioè un equilibrio conciliando la conoscenza di sé e il rispetto dell’altro.

In un tale panorama si intuisce l’importanza, nonché la difficoltà, dei compiti che attualmente attendono la scuola: limitarsi, infatti, a dire che il “relativismo culturale” è una condizione minimale da porre come base a una società interculturale non risolve certo il problema. Una società interculturale si forma attraverso un’educazione interculturale che deve essere assunta in sede pedagogica, in quanto essa implica un ripensamento tanto dell’elaborazione quanto del momento della trasmissione della cultura.

A tale riguardo uno dei primi testi che riporta i concetti fondanti dell’educazione interculturale è la Dichiarazione sulla razza e pregiudizi razziali che la conferenza generale dell’Onu per l’educazione, la scienza e la cultura ha firmato a Parigi nel 1978 (in particolare l’articolo 5). Tra gli altri documenti normativi inerenti l’educazione interculturale nella scuola, un quadro dettagliato del nuovo contesto della trasmissione e dell’elaborazione della cultura e delle linee di intervento auspicabili in tal senso è contenuto nella Pronuncia del consiglio nazionale della Pubblica Istruzione sull’educazione interculturale nella scuola del 1292 e nella C.M e. n. 73/1994 Proposte e iniziative per l’educazione interculturale (che ha assorbito in un unico documento il contenuto della normativa precedente).

Educazione interculturale significa contribuire a sviluppare un’identità che sia positiva nel confronto con l’ interazione dell’ “altro”. Ad un tale compito, urgente quanto difficile, sono chiamati tutti docenti di tutte le scuole di ogni ordine e grado attraverso la loro attività quotidiana “sulla base di una rinnovata professionalità e un impegno progettuale e organizzativo fondato sulla collaborazione e sulla partecipazione”.[1]

L’interculturalità non è una materia a sé, ma un punto di vista, una prospettiva, che deve trovare spazio in ogni campo. Si tratta di una prospettiva interdisciplinare, che deve riguardare tutte le materie dei curricula scolastici: essa va inserita nell’ora di musica, di italiano, e soprattutto di lingua straniera (dove l’insegnamento dovrebbe già espletarsi giocoforza con uno sguardo interculturale…).

I notevoli cambiamenti avvenuti all’interno del gruppo classe, che vede oggi la presenza di prime, seconde e terze generazioni di migranti, richiede scelte adeguate e strumenti legislativi e culturali per coniugare le esigenze di modelli molto diversificati.

Il docente comincia, dunque, a porsi alcuni problemi  fino a qualche tempo fa ignorati: ” Questo mio atteggiamento offende le persone “diverse” che mi stanno di fronte?”, “Spiegare le crociate come difesa contro i barbari incivili che avevano conquistato il Santo sepolcro offende il ragazzo arabo che mi sta di fronte?”, “Esaltare i carbonari anti-austriaci  offende l’austriaco il cui antenato è morto sotto le bombe?”…

Assumere un punto di vista interculturale vuol dire riconoscere pari dignità a tutte le culture, comprendere che ogni cultura è degna di rispetto e mettere in atto tali concetti attraverso l’interazione e il dialogo. L’interazione è la strategia-chiave, perché interculturalità significa reciprocità, apertura, rispetto, scambio, accoglienza, contaminazione… interagendo si produrrà, infatti, integrazione senza assimilazione, la quale non va ricercata a tutti i costi perché essa implicherebbe fondamentalmente un atteggiamento di superiorità.

Conferire un taglio interculturale al proprio modo di insegnare da parte dei docenti significherà indurre gli allievi al “decentramento” e alla “circolarità” dei propri punti di vista, alla loro relativizzazione, così che l’ “io” del soggetto faccia spazio anche al punto di vista degli “altri” ed impari a guardare sé e alla propria cultura con lo sguardo che l’altra cultura gli restituisce. Solo così il relativismo culturale, che è un atteggiamento psicologico, si attuerà in logica del “rispetto”, ovvero in un modo di comportamento, che potrà portare la società multiculturale a divenire una società interculturale.

 

Valentina Corrente

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


[1] Proposte e di iniziative per l’educazione interculturale,C.M. n 73/ 1994